Se fossi andata a Tubinga…

Quante me ne insegna Hitlera la Logopedista! Anche ora, sono reduce da una cena con lei, e mi ha reso edotta di questoe di quello, temo che le diano fastidio i miei errori di tedesco. L’altro giorno, quando le ho detto che non ero ancora avvezza alla lavastoviglie (Spülmaschine) e che mi rompeva dover fare il giro per arrivarci (questo è veramente poco intelligente in cucina: il lavello è da una parte, l’apertura della lavastoviglie è dalla parte opposta e bisogna circumnavigare la penisola di cottura per arrivarci), mi ha fatto il suo tipico sorrisetto tirato dicendo: Jeder Gang macht schlank, a ogni camminata si dimagrisce. Stasera mi ha spiegato che Mahlzeit si dice solo a pranzo e che la sera va detto Guten Appetit, a meno che non siamo operai in fabbrica che poi tornano a lavorare, si vede che Mahlzeit è una pausa tra una sfacchinata e l’altra. Da notare la sua cena: otto quintali di spaghetti stracotti e mosci, di cui si è servita due volte, il resto lo ha inscatolato e domani se lo porta in ufficio in uno dei suoi mirabili tupperware, ne possiede circa quarantamila. Avevo lo stomaco rovesciato a vedere la pasta così maltrattata. Spaghetti Barilla, tra l’altro!

Stasera, mentre si preparava la pasta, meticolosa come sempre, mi ha fatto capire che trovami molto bislacca, alla mia età venirmene in una paese straniero, lontano dalla famiglia, dal moroso, meglio trovarsi una supplenza in Italia, no? Eh no, cocca, io volevo farlo questo esperimento antropologico, io volevo vedere i tedeschi dal di dentro, io volevo abitarci, in Germania, almeno un anno, volevo! Non ho ancora perso la curiosità, le ho detto serafica. Dentro di me pensavo che c’era ancora quell’Erasmus saltato a rimestarmi dentro. Nel 1995, credo, ho vinto la possibilità di fare un anno di Erasmus a Tubinga. Alla fine ho rinunciato, angustiata dall’idea di non avere un soldo e di non farcela, notoriamente l’Erasmus è pagato dai genitori, che ci si fa con il contributino mensile erogato chissà quando, e mio padre, Monaldo 2, faceva fatica a darmi due soldi per un dizionario, le tasse universitarie e i libri me li pagavo con i proventi delle stagioni estive. Ma quella rinuncia me la sono portata dentro come un marchio, una stimmate, una spina, una cicatrice mai rimarginata. Ed eccomi qui, nello stesso Land di Tubinga, a fare pensieri del tipo “Sliding doors”. Se avessi avuto il coraggio di provarci comunque, di costringere Monaldo 2 a sganciare due lire, forse non sarei più tornata, sarei stata uno dei molti che restano nel paese dove vanno a soggiornare o trovano un partner straniero… Se fossi andata a Tubinga…

Invece ora sono a Ulma. Questa settimana è molto intensa, lunedì mi pare già eoni fa. La seconda settimana la sto reggendo già meno bene della prima e non vedo l’ora che sia febbraio per riprendere fiato durante le vacanze. Anzi, oggi ero in preda allo scoramento e sono tornata a non vedere l’ora che sia luglio, luglio vieni e portami via. Non che l’esperimento antropologico della vita in Teutonia mi abbia già stancato, è di nuovo un problema di lavoro, e quello è tutto italiano. Ma andiamo per ordine.

Lunedì è davvero una giornata orrenda. Sveglia presto, e per l’ansia non ho praticamente chiuso occhio durante la notte, il giorno precedente tra le pulizie settimanali accollate a me e sciocchezze varie non mi ero preparata e quindi sono partita con il trolley pieno di libri, per preparare le lezioni del pomeriggio in quattro e quattro’otto nella pausa pranzo, sono salita sull’IC per Frankfurt, bello pieno, ho visto un posto libero vicino al finestrino accanto a un signorotto, Ist das frei?, E’ libero? e già il grugnito di risposta lasciava presagire male, volevo mettere la valigia in alto per non ingombrare un vagone già pieno, ma a momenti ammazzavo il maiale seduto sotto, perché la pesantissima valigia mi è scivolata di mano e quasi lo centrava. Che poi io abbia persino osato parlare al cellulare, in un treno tedesco alle 7 di mattina, ha proprio fatto sbroccare il vicino suino che ha nuovamente sbuffato il suo disappunto. Io ero già stufa marcia della giornata.

Poi altri tre cambi di mezzi (Ulma–>Plochingen–>Wendlingen –> Roitlinga–>bus per la scuola) e sono arrivata in classe che avrei voluto chiedere malattia, darmi per morta, fingere un infarto. Ho finito lezione alle 17.35, mi sono preparata per il ritorno, il bus era stracolmo, l’autista ha persino inforcato gli occhiali per controllare che io avessi il biglietto giusto – sublime la diffidenza teutonica – e poi mi ha detto di oltrepassare la sbarra di sicurezza, al che gli ho fatto notare che non era possibile per via della calca, non si è nemmeno preoccupato di rispondermi. Quando è stato il momento di scendere sono dovuta smontare dall’entrata anteriore, anche se ciò non è permesso, dato che già alla fermata precedente qualcuno era rimasto bloccato sul mezzo non avendo l’autista voglia di aspettare che si facesse largo tra la folla, e ho trovato un vecchio con la faccia già come un teschio che mi urlava che non si può scendere da davanti…e gli ho strillato dietro! E me ne sono andata alla stazione sbraitando parolacce in italiano, incurante degli astanti teutonici. Io questi tedeschi che pensano sempre alle regole e non capiscono una fava dentro quella gabbia di cervello che hanno li condannerei a tre mesi di Africa o tre mesi a Napoli, meglio. Solo che non guarirebbero, schiatterebbero e basta (dopo essere stati rapinati).

Insomma, lunedì sera non ne avevo già più per nessuno. Purtroppo c’è anche il martedì a Roitlinga, meno faticoso ma comunque abbastanza molesto. Niente a che vedere con l’orrore del mercoledì: a Ulma, niente viaggi, ma ormai la AG dei turchi non si regge più. Una AG, ovvero Arbeitsgemeinschaft, è un corso facoltativo che i ragazzi scelgono per loro ghiribizzo e questi turchi cretini hanno deciso che con l’italiano può bastare. Ma soprattutto hanno un atteggiamento che mi fa venire voglia di introdurre leggi marziali a scuola: zero rispetto, zero considerazione. Non ho mai percepito così tanta frustrazione in un corso, dove in tre mesi non sono riuscita a insegnare qualche vocabolo o i numeri dallo zero al venti. Il problema naturlamente è che così io resto in braghe in tela, devo trovare un altro corso e questo significa tornare a mendicare di Rektor in Rektor, telefonare, prendere appuntamenti, farsi dare numeri…

Però, pensavo a mo’ di salvagente, giovedì probabilmente il problema è risolto, ne arrivano due di nuove, yuppie. Catastrofe. Ne è venuta una sola – la sorella è malata – e il gruppo bislacchissimo del secondo corso del giovedì ha dato tutto il peggio che sapeva dare, la ragazzetta, già spaurita perché non parla italiano a dispetto dell’italianissimo cognome – s’è intimidita, annoiata e seccata, e di sicuro non verrà più e terrà la sorella lontana, un’altra corsista ha annunciato spavalda che smette perché la madre vuole che studi di più per la scuola e un’altra ha detto che il corso è troppo facile e pensa di mollare. Stasera mi sarei buttata sotto un tram. Visto che non ce n’erano in giro, sono andata a fare spese al Rewe, a cavallo di San Francesco nonostante la pioggia, e mi sono comprata la pasta pronta per farmi una pizza consolatoria.

Guai in vista, ancora e sempre. E per il finesettimana mi ero procurata un bel seminario introduttivo per andare a lavorare in una scuola privata di lingue, perché tanto me le cerco sempre. Mi sa che darò disdetta all’ultimo momento, il che mi segnerà agli occhi teutonici come fellona, inaffidabile, kompliziert e irrimediabilmente italiana. Andassero tutti, questi teutonici…e il prossimo che in Italia mi chiama “la tedesca”, lo mando anche lui.

E pensare che ieri mi sentivo addirittura trionfante, forte delle mie vittorie Ikea. Ebbene sì, mercoledì mattina sono arrivati quei due pezzi di truciolato e quelle due assi di legno da trasformare in camera e presa dalla foga, ho montato tutto a parte la Billy in sole tre ore. Una che non sa attaccare un chiodo riesce a mettersi su una scrivania, una sedia da ufficio, un tavolinetto… e un letto! Ikea ha successo non per i prezzi o la bellezza dei suoi prodotti, ma per l’iniezione di autostima che dà a cose fatte. Se si potesse montare anche un corso con un cacciavite…

Un pensiero su “Se fossi andata a Tubinga…

  1. Mi è piaciuto come scrivi e le esperienze che racconti … le comprendo benissimo!
    Ich freue mich dir kennenzulernen! 😉

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