L’arte ripara

Stasera Ulma potrebbe essere la stevensionana Londra di fine Ottocento del dottor Jekill e mister Hyde, buia e livida di nebbiolina e l’illusione è quasi perfetta alzando gli occhi alle guglie della chiesa neogotica di San Giorgio, indistinte e minacciose nel loro svettare nella caligine.

Anche dentro sono un po’ nebulosa, ma per quel trasporto che sa regalare un film che sa trascinarti via dalla tua vita e quando scorrono i titoli di coda, bianco su nero, in più con la musica furba di Einaudi, non sai più dove sei o che ora è, mentre ti asciughi ratta i lacrimoni perché i vicini non vedano, nel cinema vecchio stampo, con le poltroncine di vellutino rosso, scomode se confrontate con quelle modernissime dei cineplex, e dove può capitare che dopo mezz’ora di film ci sia un sibilo, un buco nello schermo, il sipario con la maschera di Mephisto si chiuda e alla porta compaia una ragazza per spiegare che si è bruciata la pellicola, ci dispiace tanto, o avete la pazienza di aspettare una ventina di minuti o vi diamo un altro biglietto, mormorio sconcertato ma sono rimasti tutti, perché chi poteva abbandonare un film così?

Oggi è stata una giornata di rotture e guasti e fastidi. Quello al cinema è stato un episodio anche simpatico e mi ha fatto perdere quella ventina di minuti che in una serata destinata a farmi dimenticare il resto non sono poi così importanti. Ma oggi ho infilato la chiavetta USB nel pc ed è saltata fuori una raffica di messaggi di allarme dall’antivirus. Non so se nella scuola di Roitlinga o persino ancora prima delle vacanze nella fotocopisteria del vecchietto gentile, che fa pagare poco ma che forse non si preoccupa molto degli antivirus, insomma, la chiave si è beccata un trojan che ha trasformato le mie cartelle in collegamenti vuoti. So di aver perso molte ore di lavoro in quei documenti per i corsi che avevo lasciato solo sulla chiave per poterlo portare nelle mie varie sedi di lavoro dove faccio le stampate e, nel classico caso di “del senno di poi sono piene le fosse”, non ho avuto l’accortezza di fare della chiavetta solo una copia di documenti presenti nel mio pc e non ho avuto voglia di comprarmi una stampantina, ma forse è il caso, per evitare altri pasticci. La stizza è stata tale che ora la chiavetta giace in pezzi, in barba a qualunque pensiero di poter riparare i file.

Allora stasera dovevo uscire e ho trovato l’arte che ripara. Perché questa pellicola mi ha ricreato nel vero senso della parola e mentre guardavo la storia del ricco tetraplegico e del nero della banlieue ho sentito, più che pensato, che l’arte serve a dare una prospettiva, oltre che a confortare con la sua bellezza – come fa il ricco Philippe con la musica, la pittura, gli oggetti squisiti della sua magione parigina -, a darti un senso dell’altro per vedere meglio il proprio. Ho molte fortune, e anche questa vita a Ulma è una fortuna, con un lavoro, un tetto e niente di davvero importante che mi manchi. A parte, sì, le persone del mio cuore. E anche il film lo mostra: l’arte sì, ma le persone di più. Senza bisogno di dire in cosa consti questo di più.

A margine, sui tedeschi. Se il popcorn con il suo stomachevole odore dolciastro è trasversale, non ho potuto che restare basita vedendo il numero di persone che si sono portate la birrozza in sala, e delle tedesche altresì. Tra i momenti esilaranti del film si può contare l’episodio in cui il badante si improvvisa barbiere e si diverte a fare del paziente prima un emulo dei Village people, poi un pope ortodosso, poi un aristocratico ottecentesco con i baffetti aguzzi e infine…un hitler. E  i tedeschi ridevano a gola spiegata! Anche quando in tedesco le battute erano “Es reicht”, Basta, diceva lo spazientito paziente, e il badante faceva humour “Das Reich, das Reich!”. Io avrei pensato che ci sarebbe stato da parte loro un silenzio agghiacciato. No, i tedeschi ridono di Hitler, del Reich… e non so come interpretare questo loro spasso. Ridono di una cosa lontana, che non fa parte di loro. Ridono per esorcizzare. Ridono per ridere.

Un tranquillo weekend di WG

Il venerdì sera Para-Medica (non perché sia infermiera, ma perché medico afflitto da paranoie) è lesta a scapparsene via nel suo buco di culo tedesco (credo Schwäbisch Gmund, se ho saputo interpretare bene la mitragliata di Hitlera), facendosi scudo di un cattivo umore opaco, perché per lei le pulizie potrebbero essere rimandate alle calende greche, le immondizie possono accumularsi come nemmeno a Napoli, a lei interessa solo vuotare le molte lavatrici e riempire lo stendipanni (secondo me tutte queste lavatrici a indicare scarsa pulizia personale sopperita da pulizia per interposto materiale) e ogni tanto rassettare delle cose strane che capisce solo lei, tipo spostare un sacchettino dalla dispensa alla Kammer, probabilmente colma di qualche risentimento personale verso di me o verso Hitlera cui comunque non ha coraggio di dar voce.

Hitlera invece resta qui sempre, spadroneggia nell’Europa dell’E…no, in casa, nel suo Lebensraum, fa e briga e gira e frigge e unge in cucina e si diverte, lei sì, a dar voce a ogni suo pensierino piccino picciò, perché evidentemente la mamma non le ha insegnato che non bisogna proprio dire tutto tutto quello che si pensa agli altri, indifferentemente. Con me continua questa terapia d’urto a forza di correzioni del tedesco e prova anche a farmi sentire un po’ cretina parlandomi a raffica e mettendomi in confusione, non di rado riuscendoci, soprattutto quando devo subire le grandinate prima di aver bevuto il caffè della colazione, quando francamente non riesco nemmeno a sillabare il mio nome. Ribatto ancora mitemente, ma devo dire che la mia pazienza sta già subendo un calo vistoso. E’ una persona da prendere a modello negativo: non devo essere come lei. D’altra parte potrei avere uno scatto di orgoglio e impuntarmi a studiare le piccolezze che mi corregge, ma, come le ho detto sempre alquanto serafica, io con l’età ho imparato a essere tollerante con me stessa e con i miei errori (tu invece sarai sempre gonfia del tuo ego villano e impaziente, crucca brufolosa).

Ieri pensavo con un certo terrore a che vita disgraziata mi faranno passare queste due quando darò la disdetta e si metteranno a cercare un nuovo inquilino. Mi daranno della bugiarda inaffidabile italiana (embe’, ormai…), Hitlera me lo dirà sibilando e digrignando i denti, Para-Medica non mi rivolgerà più la parola, subirò visite alla camera da parte degli interessati come e quando parrà alle due dame e sicuramente non mi chiederanno se e quando mi andrebbe bene e di sicuro partiranno con la macchina da guerra appena ne avranno contezza, quindi a maggio, ah già me lo pregusto un bel maggio ulmense pieno di primaverile astio. Devo come minimo inventare una scusa formidabile e sicuramente dovrò porre la notizia con lagrimoni di dolore, stavo così bene, ma te guarda, tutta questa fatica, i mobili, le spese, la cosa migliore sarebbe inventare un lavorone da qualche altra parte e spiegare che davvero, con i tempi che corrono non posso rifiutare una profferta del genere.  Se non voglio fare un maggio da incubo, sarà meglio che pensi già fin da ora a cosa escogitare. Massì, così do loro la possibilità di trovare il maschietto che tanto desideravano, queste due caprette alla ricerca del montone espiatorio, perché così mi raccontava Hitlera ieri, volevano un uomo, “per fare da contrappeso” o da saccone per i vostri pugni, eh?

Io, invece, pur avendo risposto alle offerte di WGs con uomini o solo uomini, non sarei così lieta (sich freuen!) di coabitare con esseri di sesso maschile. Sicuramente sarebbe stato un esperimento ancora più interessante, ma già mi basta il livello di sciattoneria della Para-Medica. Ultima chicca per farne un ritrattino: lei per pelare le carote usa sempre un pelapatate con la lama completamente coperta di ruggine. Ora, il medico è lei e ne saprà sicuramente più di me, non farà male come parrebbe a me. Si vede che il tetano qui non esiste.

Se fossi andata a Tubinga…

Quante me ne insegna Hitlera la Logopedista! Anche ora, sono reduce da una cena con lei, e mi ha reso edotta di questoe di quello, temo che le diano fastidio i miei errori di tedesco. L’altro giorno, quando le ho detto che non ero ancora avvezza alla lavastoviglie (Spülmaschine) e che mi rompeva dover fare il giro per arrivarci (questo è veramente poco intelligente in cucina: il lavello è da una parte, l’apertura della lavastoviglie è dalla parte opposta e bisogna circumnavigare la penisola di cottura per arrivarci), mi ha fatto il suo tipico sorrisetto tirato dicendo: Jeder Gang macht schlank, a ogni camminata si dimagrisce. Stasera mi ha spiegato che Mahlzeit si dice solo a pranzo e che la sera va detto Guten Appetit, a meno che non siamo operai in fabbrica che poi tornano a lavorare, si vede che Mahlzeit è una pausa tra una sfacchinata e l’altra. Da notare la sua cena: otto quintali di spaghetti stracotti e mosci, di cui si è servita due volte, il resto lo ha inscatolato e domani se lo porta in ufficio in uno dei suoi mirabili tupperware, ne possiede circa quarantamila. Avevo lo stomaco rovesciato a vedere la pasta così maltrattata. Spaghetti Barilla, tra l’altro!

Stasera, mentre si preparava la pasta, meticolosa come sempre, mi ha fatto capire che trovami molto bislacca, alla mia età venirmene in una paese straniero, lontano dalla famiglia, dal moroso, meglio trovarsi una supplenza in Italia, no? Eh no, cocca, io volevo farlo questo esperimento antropologico, io volevo vedere i tedeschi dal di dentro, io volevo abitarci, in Germania, almeno un anno, volevo! Non ho ancora perso la curiosità, le ho detto serafica. Dentro di me pensavo che c’era ancora quell’Erasmus saltato a rimestarmi dentro. Nel 1995, credo, ho vinto la possibilità di fare un anno di Erasmus a Tubinga. Alla fine ho rinunciato, angustiata dall’idea di non avere un soldo e di non farcela, notoriamente l’Erasmus è pagato dai genitori, che ci si fa con il contributino mensile erogato chissà quando, e mio padre, Monaldo 2, faceva fatica a darmi due soldi per un dizionario, le tasse universitarie e i libri me li pagavo con i proventi delle stagioni estive. Ma quella rinuncia me la sono portata dentro come un marchio, una stimmate, una spina, una cicatrice mai rimarginata. Ed eccomi qui, nello stesso Land di Tubinga, a fare pensieri del tipo “Sliding doors”. Se avessi avuto il coraggio di provarci comunque, di costringere Monaldo 2 a sganciare due lire, forse non sarei più tornata, sarei stata uno dei molti che restano nel paese dove vanno a soggiornare o trovano un partner straniero… Se fossi andata a Tubinga…

Invece ora sono a Ulma. Questa settimana è molto intensa, lunedì mi pare già eoni fa. La seconda settimana la sto reggendo già meno bene della prima e non vedo l’ora che sia febbraio per riprendere fiato durante le vacanze. Anzi, oggi ero in preda allo scoramento e sono tornata a non vedere l’ora che sia luglio, luglio vieni e portami via. Non che l’esperimento antropologico della vita in Teutonia mi abbia già stancato, è di nuovo un problema di lavoro, e quello è tutto italiano. Ma andiamo per ordine.

Lunedì è davvero una giornata orrenda. Sveglia presto, e per l’ansia non ho praticamente chiuso occhio durante la notte, il giorno precedente tra le pulizie settimanali accollate a me e sciocchezze varie non mi ero preparata e quindi sono partita con il trolley pieno di libri, per preparare le lezioni del pomeriggio in quattro e quattro’otto nella pausa pranzo, sono salita sull’IC per Frankfurt, bello pieno, ho visto un posto libero vicino al finestrino accanto a un signorotto, Ist das frei?, E’ libero? e già il grugnito di risposta lasciava presagire male, volevo mettere la valigia in alto per non ingombrare un vagone già pieno, ma a momenti ammazzavo il maiale seduto sotto, perché la pesantissima valigia mi è scivolata di mano e quasi lo centrava. Che poi io abbia persino osato parlare al cellulare, in un treno tedesco alle 7 di mattina, ha proprio fatto sbroccare il vicino suino che ha nuovamente sbuffato il suo disappunto. Io ero già stufa marcia della giornata.

Poi altri tre cambi di mezzi (Ulma–>Plochingen–>Wendlingen –> Roitlinga–>bus per la scuola) e sono arrivata in classe che avrei voluto chiedere malattia, darmi per morta, fingere un infarto. Ho finito lezione alle 17.35, mi sono preparata per il ritorno, il bus era stracolmo, l’autista ha persino inforcato gli occhiali per controllare che io avessi il biglietto giusto – sublime la diffidenza teutonica – e poi mi ha detto di oltrepassare la sbarra di sicurezza, al che gli ho fatto notare che non era possibile per via della calca, non si è nemmeno preoccupato di rispondermi. Quando è stato il momento di scendere sono dovuta smontare dall’entrata anteriore, anche se ciò non è permesso, dato che già alla fermata precedente qualcuno era rimasto bloccato sul mezzo non avendo l’autista voglia di aspettare che si facesse largo tra la folla, e ho trovato un vecchio con la faccia già come un teschio che mi urlava che non si può scendere da davanti…e gli ho strillato dietro! E me ne sono andata alla stazione sbraitando parolacce in italiano, incurante degli astanti teutonici. Io questi tedeschi che pensano sempre alle regole e non capiscono una fava dentro quella gabbia di cervello che hanno li condannerei a tre mesi di Africa o tre mesi a Napoli, meglio. Solo che non guarirebbero, schiatterebbero e basta (dopo essere stati rapinati).

Insomma, lunedì sera non ne avevo già più per nessuno. Purtroppo c’è anche il martedì a Roitlinga, meno faticoso ma comunque abbastanza molesto. Niente a che vedere con l’orrore del mercoledì: a Ulma, niente viaggi, ma ormai la AG dei turchi non si regge più. Una AG, ovvero Arbeitsgemeinschaft, è un corso facoltativo che i ragazzi scelgono per loro ghiribizzo e questi turchi cretini hanno deciso che con l’italiano può bastare. Ma soprattutto hanno un atteggiamento che mi fa venire voglia di introdurre leggi marziali a scuola: zero rispetto, zero considerazione. Non ho mai percepito così tanta frustrazione in un corso, dove in tre mesi non sono riuscita a insegnare qualche vocabolo o i numeri dallo zero al venti. Il problema naturlamente è che così io resto in braghe in tela, devo trovare un altro corso e questo significa tornare a mendicare di Rektor in Rektor, telefonare, prendere appuntamenti, farsi dare numeri…

Però, pensavo a mo’ di salvagente, giovedì probabilmente il problema è risolto, ne arrivano due di nuove, yuppie. Catastrofe. Ne è venuta una sola – la sorella è malata – e il gruppo bislacchissimo del secondo corso del giovedì ha dato tutto il peggio che sapeva dare, la ragazzetta, già spaurita perché non parla italiano a dispetto dell’italianissimo cognome – s’è intimidita, annoiata e seccata, e di sicuro non verrà più e terrà la sorella lontana, un’altra corsista ha annunciato spavalda che smette perché la madre vuole che studi di più per la scuola e un’altra ha detto che il corso è troppo facile e pensa di mollare. Stasera mi sarei buttata sotto un tram. Visto che non ce n’erano in giro, sono andata a fare spese al Rewe, a cavallo di San Francesco nonostante la pioggia, e mi sono comprata la pasta pronta per farmi una pizza consolatoria.

Guai in vista, ancora e sempre. E per il finesettimana mi ero procurata un bel seminario introduttivo per andare a lavorare in una scuola privata di lingue, perché tanto me le cerco sempre. Mi sa che darò disdetta all’ultimo momento, il che mi segnerà agli occhi teutonici come fellona, inaffidabile, kompliziert e irrimediabilmente italiana. Andassero tutti, questi teutonici…e il prossimo che in Italia mi chiama “la tedesca”, lo mando anche lui.

E pensare che ieri mi sentivo addirittura trionfante, forte delle mie vittorie Ikea. Ebbene sì, mercoledì mattina sono arrivati quei due pezzi di truciolato e quelle due assi di legno da trasformare in camera e presa dalla foga, ho montato tutto a parte la Billy in sole tre ore. Una che non sa attaccare un chiodo riesce a mettersi su una scrivania, una sedia da ufficio, un tavolinetto… e un letto! Ikea ha successo non per i prezzi o la bellezza dei suoi prodotti, ma per l’iniezione di autostima che dà a cose fatte. Se si potesse montare anche un corso con un cacciavite…