In sé è una bella parola, liquide e labiali. Ma quando sento questa parola, mi viene da fare un salto sulla sedia. “Illibata“!
Dice un padre della neodiciottenne figlia (non importa poi tanto chi e in che contesto), mi pare di sentirlo calcare la “b”, allungare la penultima “a”:
Lo ha fatto con una intervista che ha deciso di rilasciare in esclusiva, e alla presenza del suo avvocato, al Mattino. E ha stabilito che si dovesse aprire con una premessa: «Mia figlia è illibata. Ricordatevi questa parola: illibata».
Questa parola si porta un mondo appresso, un mondo di oppressione e usurpazione della persona donna, l’oggetto che si usa ma di cui va sbandierato lo stato integro, mai libata, mai “gustata”, vendo su e-bay, nuovo, mai toccato, mai letto, non ho tolto nemmeno il cellophane.
Libiamo, brindiamo.