Non è sempre vacanza

Una sorta di dizionario concreto bilingue: Krankenhaus-Ospedale. Aufnahme – Accettazione. L’accento dell’operatrice che parla italiano è molto tedesco. Ne arrivano parecchi in tenute da sci, in Moonboot che ancora vanno dopo vent’anni (mancavo da molto al settore moda montagna), in tutine ipertecniche e berrettini di pile. Un paio sopraggiungono su due ruote, con ancora gli scarponi ai piedi, prelevati freschi dalle piste. Per esempio una ragazza con la gamba rigida e fasciata e l’espressione di chi ha già superato il dolore, la paura, lo sconforto, e ormai si trova un’agritudine da vacanza rovinata. Rovinata anche al giovane che spinge la carrozzella (compagno o fidanzato o marito che sia) e tenta di metterci un po’ di buon umore, muovendo la carrozzella con estro goliardico, un po’ da ospedale pazzo. La donna si spaventa, “Sta’ attento!”, sorride un po’ distentendo la faccia terrea, chissà come si sente in colpa e chissà lui come cerca di superare la delusione con la sua amorevole buffoneria.

Per il resto è una catena ordinata nel lindo Krankenhaus: accettazione, numerino duplice, consegna all’infermiera di uno dei due numerini (dovrebbero chiamare per numero per la noiosa e ipocrita questione della privacy, ma poi le vecchiette non reagiscono, e allora si sentono rieccheggiare nei corridoio nomi e cognomi, alla faccia), attesa, chiamata numero uno, visita rapida e routinaria, attesa, radiografia, attesa, visita numero due, diagnosi rapida mentre il dottore si guarda le sagome chiare delle ossa, bendaggio, accettazione, diagnosi stampata nitida e precisa sul foglietto bilingue – distorsione, stiramento, sospetta lesione del menisco – , conto, pagamento, auf Wiederschau’n.

Insomma, l’ennesima vittima della settimana bianca alto-atesina, eccomi qui. Dopo l’inizio gelido e innevato sulle piste, la mia visita al pronto soccorso di un’amena località bilingue ha dato una svolta rilassante alla vacanza: piscine, sauna, grandi dormite, lunghe letture, succulente mangiate di leccornie pusteresi. Siamo tornati rosei, paffuti e beati come bimbi, carichi di Käseknödel, Speck, HonigHandschüttelbrot, Toblacher Stangenkäse und so weiter.

A proposito di prelibatezze: devo dar ragione a Seia che fortissimamente voleva leggere Non è sempre caviale di Johannes Mario Simmel (orig. Es muss nicht immer Kaviar sein. Die tolldreisten Abenteuer und auserlesenen Koch-Rezepte des Geheimagenten wider Willen Thomas Lieven, Zürich, 1960,  trad. di Amina Pandolfi). Me lo son gustato negli ultimi due giorni, mi mancano circa le ultime cento delle 622 pagine di questo vecchio mattoncino Garzanti del 1967 – carta brutta e da nessuna parte si legge il nome per esteso dell’autore, soltanto le iniziali dei due nomi, perché mai? Politica editoriale? Vezzo dell’autore? Si tratta delle rocambolesche e godibilissime avventure di un affascinante tedesco poliglotta, giovane banchiere a Londra prima della seconda guerra mondiale, che suo malgrado inizia una strepitosa carriera come doppio, triplo, quadruplo agente segreto, sempre attorniato da ufficiali accaniti, simpatici delinquenti e bellissime donnine. Ma soprattutto la storia di un cuoco sopraffino che risolve parecchie situazioni apparentemente senza scampo con un menù ben congegnato ed eseguito. Il romanzo è costellato di ricette di paesi diversi che glorificano il potere seduttivo e pacificatore di un buon desinare in compagnia. [Su Simmel torno perché qualche giorno fa se ne è scritto, e non per la pubblicazione di un nuovo libro.]

Per finire, il Christkindl (Gesù Bambino) mi ha portato un nuovo portatile: un Sony Vaio con un forestiero e antipatico Vista che non pare animato da sentimenti benevoli verso tutti i miei dizionari. (Che oggi sia dovuta tornare a squola, non salvata dalla neve che imperversa soltanto sul lato occidentale del nord Italia, nemmeno lo scrivo.)

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